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DIETROLAVETRINA K2, scalata di famiglia

Premiata la storicità dell'albergo ristorante di Abbadia

09 maggio 2017

 

k2-abbadia

Il K2 è una montagna: 8611 metri lassù, nel mitico Himalaya. Ma può essere anche un sogno: quello di dar vita ad un impresa che, all’inizio, si presenta come una vetta impervia da raggiungere. La scalata ufficiale, in questo caso, iniziò nel 1985, ma il tracciato aveva preso forma nei 20 anni precedenti.  Era il 1963 quando ad Abbadia San Salvatore nacque un’osteria: più avanti diventerà un albergo ristorante, capace di sopravvivere ai cambi di gusto, e ai difficili momenti che ogni impresa attraversa. Oggi quella del K2 è una splendida storia dove la trama professionale si sovrappone a quella intima della famiglia Pallai. Anche per questo, è stata questa la storia ‘senese’ cui tre giorni fa Confesercenti Toscana ha tributato un riconoscimento di appartenenza e storicità, al pari di altre 9 imprese della regione. Sul palco del teatro Niccolini di Firenze tre donne (la mamma Mariella, le figlie Marilena e Sonia) e un uomo-capo cordata, Giorgio; idealmente con loro anche Nonna Armida, che dette il via a tutto con la prima osteria: “se fosse stata ancora qui ci avrebbe chiesto ‘ma davvero ci siamo noi?’ – racconta - e poi non avrebbe visto l’ora di tornare al lavoro. le faceva meno fatica lavorare che andare in giro, come mia moglie, del resto”.

 

Nonna Armida non c’è più, ma il K2 va avanti. Come nacque tutto?

“Avevo 12 anni, l’Amiata viveva il trauma dei licenziamenti di massa del 1959, c’era necessità di reinventarsi. Lei cominciò a proporre merende con la trippa e i fegatelli, ricordo distintamente che uno dei primi giorni un generale in vacanza di chiese per la sera di preparare le tagliatelle fatte in casa per 12 persone: ci accorgemmo che non avevamo piatti a sufficienza, e Armida senza indugio disse ‘compriamoli’. Fu  il primo investimento, la vera scintilla dell’impresa”.


Dalle merende alle camere, come fu il passo?

“Piano piano riuscimmo a spostare l’orario delle merende più verso sera, e tra pranzi e cene cominciammo ad essere una vera osteria. Diventato maggiorenne io lavorai tre anni in miniera ad Abbadia, fino a poco prima della sua chiusura; poi vinsi un concorso da assistente di laboratorio all’istituto tecnico, e quello ho fatto per 24 anni. Ma intanto prendeva forma il sogno dell’albergo, e sotto il Natale del 1985 la struttura che avevamo costruito cominciò ad ospitare turisti per la notte. Il primo piano era terminato, nel secondo alle camere mancavano ancora le tende. La richiesta c’era, e qualcuno si accontentò pur di passare il Capodanno sull’Amiata. Venivano da Firenze e Roma, diventarono presto clienti affezionati, ho ancora il pupazzetto che mi regalarono quell’anno, un uomo sul patibolo con scritto ‘tieni duro’!”

 

Sulla vetta del k2 arrivarono in due, Lacedelli e Compagnoni. Nel caso vostro?

“Un scalata di gruppo, o meglio di famiglia. Mariella sempre presente, dalla prima ora; le figlie che hanno sempre voluto lavorare e studiare contemporaneamente; io le ho assecondate, i risultati mi confortano. E non solo per quanto hanno fatto in albergo”.

 

Il momento più duro, e quello più bello?

“L’inizio dei lavori, la costruzione dell’albergo, la ricerca dei finanziamenti. Il migliore…la fine delle rate del mutuo, all’inizio del nuovo millennio. Poi ci sono tanti episodi…tra i clienti affezionati c’era un docente di italiano, un fine oratore che incantava gli ospiti nei dopocena con le sue dissertazioni. un giorno d’improvviso mi disse ‘Giorgio, io la invidio. Lei sa fare tutto, io niente”.

 

In tavola tortelli, fegatelli, olio fatto in proprio….l’impronta di Armida?

“Sì, conservata e attualizzata dalle mie donne. I clienti li apprezzano, forse lo farebbero anche di più se riuscissimo a collegare meglio questo territorio, far sinergia con le vicine terme, potenziare le strutture sportive”.

 

 E poi? Un hotel “Amiata” sul monte K2?

“Mah, piuttosto godersi la pensione. Me lo dico sempre, per ora fermo non ci sto…”

 

 

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