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Quel tubo che non c’entra un tubo, in Valdarbia

La torre Idit e un futuro mai nato: un fotografo l’ha vista da dentro

14 febbraio 2022

 

torre-idit

Cattedrali nel deserto”: un concetto ricorrente, grandi realizzazioni spesso scollegate dal contesto, e di vita breve.  Ce ne sono anche nel settore commerciale e industriale. Anche nelle splendide terre di Siena. Su una di queste ha messo gli occhi, anzi l’obiettivo, un fotografo senese: Carlo Vigni.  Dieci anni dopo, quelle  foto in bianco e nero sono diventate una mostra: “L’industria della polvere”, al Santa Maria della Scala, aperta per alcuni mesi fino allo scorso gennaio.

 

La cattedrale anzi la torre nel deserto è l’Idit, quel gigantesco ‘tubo’  di cemento alto ottanta metri tra Tressa e Monteroni d’arbia. Fu costruita e inaugurata all’inizio degli anni ’60 per fabbricare polveri solubili di frutta e verdura. Pochi anni dopo era già chiusa, e così è rimasta fino a tutt’oggi, accusando in modo lento e inesorabile l’incuria e il tempo che scorre. Vigni è uno dei pochi ad esserci entrato dentro, nel Terzo millennio: “ebbi un effetto da time machine, sembrava di entrare in un ambiente cristallizzato, dove il tempo si era fermato. Pochi resti dell’impresa che fu, molto vuoto”.

 

 

Hai scavalcato una giungla per entrare? Chi ti ha aperto la torre?

“Fino a un po’ di anni fa c’era ancora un custode, poi non so che fine abbia fatto lui, e le chiavi. Entrando ti trovavi davanti quest’impresa mastodontica che in realtà non era mai entrata in funzione, intonsa e avulsa dal contesto. Neppure archeologia pre-industriale, perché di fatto è un luogo in cui l’uomo non ha mai lavorato in pratica; l’opposto di quanto ho fotografato più di recente in Sardegna, nell’Iglesiente, dove le ex miniere trasudano secoli di lavoro e sono radicate nella memoria della gente che ci vive”.

 

 

l'esterno della Torre (foto Carlo Vigni)

 

 

 

L’Idit è un vistoso incidente di percorso?

“Il territorio circostante non aveva i presupposti per accogliere una cosa di questo tipo, che in pratica fu calata dall’alto in modo superficiale e di breve durata. L’unica curiosa assonanza è che nel giro di pochi chilometri s’incontrano altre esperienze di trasformazione meno invasive e di esito ben diverso: l’ottocentesca tabaccaia di Monteroni e la Grancia di Cuna, che risale all’anno mille ed era una delle ‘stive’ del Santa Maria della Scala, dove le foto sull’Idit sono state esposte. Poi, di fianco alla torre, correva e corre ancora la via Francigena. Per chi la percorre l’impatto estetico è pesante”.

 

 

l'interno della Torre (foto Carlo Vigni)

 

 

Per te che l’hai vista da dentro, quella torre può avere un futuro?  Cosa può insegnare questa storia d’impresa mai avviata?

“Il futuro di questa esperienza era sterile dall’inizio, anziché polvere alimentare ha creato solo polvere vera. E’ un gigantesco cono senza fondamenta, non vedo riconversioni. Non la prenderei come simbolo, è stata solo un’ipotesi surreale. Semmai noto che nei dintorni, a Isola d’arbia, c’è chi sta riconvertendo volumi anche grossi in poco tempo: forze nuove ma esterne, non so quanto effettivamente potranno essere d’aiuto per il contesto locale, nel complesso decadente.  Questo non esclude che singole realtà  private possano dar vita a qualcosa di realmente dinamico e utile:  pensiamo ad esempio a come conviva con San Gimignano una delle gallerie d’arte più internazionali del nostro Paese. A volte il futuro se lo fanno le persone”.

  

 

la torre Idit in prospettiva (foto Carlo Vigni)

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