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Jobs act: l'aggiornamento

I Decreti approvati e quelli in cantiere

15 luglio 2015

 

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Questa la sintesi delle novità più significative contenute nei due decreti legislativi definitivamente approvati l’11 giugno 2015, pubblicati sulla gazzetta ufficiale del 24 giugno 2015 ed entrati in vigore il successivo 25, come previsto dalla riforma approvata nella prima parte dell'anno.


Il primo decreto, già definito “codice dei contratti”, è relativo alla disciplina organica dei contratti di lavoro e la revisione della normativa in tema di mansioni; il secondo è invece relativo alle misure per la conciliazione delle esigenze di cura, vita e di lavoro.


Disciplina delle mansioni

Il decreto di riforma dei contratti novella integralmente l’art. 2103 cod. civ. (allo stato versione a suo tempo novellata dall’art. 13 dello Statuto dei Lavoratori, legge n. 300/1970).
La norma contiene due punti fondamentali: la disciplina dello jus variandi, ovvero il potere del datore di lavoro di modificare unilateralmente, cioè senza il consenso del lavoratore, l’oggetto del contratto di lavoro; la possibilità di fare validi accordi modificativi.
Con riguardo al primo profilo, diversamente dalla previsione della formulazione precedente della norma, non si dovrà più operare una comparazione tra le due mansioni, le precedenti e le nuove, in termini di “equivalenza”. Ne consegue che se il mutamento rimane all’interno dello stesso livello non ci sarà alcun limite; nel caso invece in cui il mutamento determini un inquadramento inferiore, dovrà esserci una motivazione “oggettiva”, ossia una modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore.
La contrattazione collettiva, anche aziendale, potrà prevedere ulteriori ipotesi di assegnazione a mansioni inferiori.
Sono comunque presenti dei limiti all’esercizio di tale potere da parte del datore di lavoro.
La modifica può avvenire, innanzitutto, soltanto all’interno della stessa categoria: dirigente, quadro, impiegato, operaio; inoltre, il mutamento di mansioni deve essere comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.
Viene poi introdotta la possibilità di fare accordi, tra datore di lavoro e lavoratore, modificativi delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita.
Tutte queste modificazioni vanno comunque concordate e sottoscritte in sede sindacale, in sede pubblica, davanti al giudice o avanti le commissioni di certificazione.


Contratto a tempo determinato

Nella sostanza si tratta di un intervento diretto principalmente a semplificare e chiarire alcuni aspetti.
Rimane ad ogni modo invariata la durata massima di 36 mesi e la possibilità, fermo restando tale limite temporale, di prorogare il contratto a termine fino a un massimo di 5 volte.
Quanto al numero di assunzioni, resta ferma la percentuale di contingentamento nella misura del 20% dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione. In caso di superamento di tale percentuale, fatta comunque salva l’esclusione della trasformazione in contratti a tempo indeterminato, è stata mantenuta la sola sanzione, a favore del lavoratore, pari al 50% della retribuzione mensile percepita dal dipendente a termine per ciascun mese (o frazione superiore a 15 giorni) di durata del rapporto di lavoro. Il limite percentuale, in ogni caso, potrà essere derogato, oltre che nelle ipotesi di avvio nuove attività, start up, attività stagionali, ecc., anche nei casi previsti dai contratti collettivi.
Con riguardo ai divieti di apposizione del termine è stata eliminata la possibilità di derogare, tramite accordi sindacali, al divieto di assumere a termine presso unità produttive che abbiano implementato licenziamenti collettivi nei sei mesi antecedenti l’assunzione.
Risultano poi confermate (e in parte chiarite) le disposizioni relative sia alle sanzioni previste in ipotesi di superamento del periodo massimo di trentasei mesi, sia all’impugnazione del termine (120 giorni dalla cessazione del rapporto), nonché alla quantificazione della indennità onnicomprensiva in caso di trasformazione del rapporto.
Sul punto è stato precisato che l’indennità risarcitoria onnicomprensiva spettante al lavoratore e compresa tra 2,5 e 12 mensilità ristori per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive.
Inoltre, ai fini dell’applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale, i lavoratori a tempo determinato sono conteggiati tenendo conto del numero medio mensile di dipendenti a termine, compresi i dirigenti, impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell’effettiva durata dei loro rapporti di lavoro.


Somministrazione di lavoro

Diversamente che nel passato. lo staff leasing potrà essere utilizzato in tutti i settori, con la sola limitazione di tipo quantitativo, fissata al 20% degli occupati a tempo indeterminato presenti in azienda.
Tale limite potrà comunque essere superato a opera dei contratti collettivi, anche aziendali.
A fronte dell’apertura al maggior utilizzo dello staff leasing, vengono però introdotti alcuni limiti al ricorso alla somministrazione sia a termine che a tempo indeterminato.
Infatti, se da una parte è ribadita la acausalità della somministrazione, senza limiti di tempo (diversamente dai 36 mesi fissati per il contratto a termine), al contempo è venuta meno la facoltà di ricorrere a questo tipo di contratto in caso di crisi aziendale, licenziamenti collettivi o cassa integrazione guadagni in presenza di un accordo aziendale a ciò abilitante, come invece era possibile in base al testo previgente.
Con particolare riguardo alla somministrazione a termine, rimangono i limiti quantitativi di utilizzo fissati dai contratti collettivi dell’utilizzatore, a differenza del contratto a termine dove invece vale il tetto generale costituito dal 20% della forza lavoro presente in azienda. Non vi è più però la deroga quantitativa per alcune tipologie contrattuali (ipotesi sostitutive,
stagionali e start up), con ciò, di fatto, azzerando o rendendo comunque più difficile le possibilità di utilizzo della somministrazione su tali attività.
Sempre in relazione ai limiti quantitativi, non va sottaciuto il correlato profilo sanzionatorio, la cui sanzione comporta la trasformazione del rapporto in uno diretto a carico dell’utilizzatore nel caso di sforamento delle percentuali di utilizzo fissate dai contratti collettivi applicati dall’utilizzatore.
Positiva appare l’estensione anche ai contratti di somministrazione di lavoro della norma relativa al regime delle impugnazioni (la c.d. indennità risarcitoria), con ciò limitando quindi l’indennizzo in caso di conversione a un numero di mensilità
ricompreso fra 2,5 e 12 così come avviene già per il contratto a termine.
Viene cancellata l’ipotesi di somministrazione fraudolenta e, quindi, la sola ipotesi sanzionatoria rimarrà quella della somministrazione irregolare.

 

Part time

Le principali novità in materia di lavoro a tempo parziale riguardano il tema della variazione temporale della prestazione lavorativa.
Le nuove disposizioni di legge non elencano più le tipologie di lavoro a tempo parziale che possono essere stipulate in alternativa al contratto di lavoro a tempo pieno (“orizzontale”, “verticale”, “misto”).
Non pare comunque in discussione che, in considerazione del fatto che deve considerarsi a tempo parziale l'orario di lavoro, fissato dal contratto individuale, cui è tenuto il lavoratore (e che risulti comunque inferiore a quello previsto dal ccnl), lo stesso si sviluppi secondo una delle modalità lavorative in precedenza normate.
Pur avendo le parti l’obbligo di specificare nel contratto la durata della prestazione lavorativa e la collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno, il d.lgs. n. 276/2003 aveva introdotto la possibilità per le stesse di modificare la collocazione temporale della prestazione tramite le cosiddette clausole flessibili e/o di variarne in aumento la durata in corso di rapporto.
Da ciò mutuavano nozioni diverse a seconda della tipologia di contratto: a) lavoro supplementare nel part time orizzontale; b) clausole elastiche nel part time verticale e misto.
L’effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare, così come l’apposizione al contratto di clausole elastiche e flessibili richiedeva inoltre il consenso del lavoratore.
Le nuove disposizioni: da un lato, eliminano la previsione da parte dei ccnl delle specifiche causali che legittimano l’uso di tali clausole, ampliandone la possibilità di utilizzo; dall’altro, individuano una serie di previsioni che trovano applicazione nel caso in cui la contrattazione collettiva non contenga una specifica disciplina del lavoro supplementare e delle clausole elastiche e flessibili. Più nel dettaglio, viene previsto un numero massimo di ore di lavoro supplementare pari al 25% delle ore di lavoro settimanali concordate e il diritto del lavoratore a una maggiorazione retributiva pari al 15% della retribuzione oraria globale di fatto.
In materia di clausole elastiche (con le quali, alla luce dell’abolizione del riferimento alle clausole flessibili, deve verosimilmente intendersi sia la variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa che la variazione in aumento della sua durata), viene prevista –sempre nell’eventualità
in cui il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro non contenga una specifica disciplina– la possibilità per le parti di modificare la collocazione temporale della prestazione o di variarne in aumento la durata, purché ciò avvenga per iscritto e davanti alle commissioni di certificazione di cui al d.lgs. n. 276/2003.
In ogni caso, la misura massima dell’aumento della prestazione lavorativa non può eccedere il limite del 25% della normale prestazione annua a tempo parziale, e le modifiche all’orario di lavoro comportano il diritto del lavoratore a una maggiorazione retributiva pari al 15% della retribuzione oraria.
Viene invece confermata la previsione secondo cui, a fronte dell’abolizione del c.d. diritto di ripensamento del lavoratore, i contratti collettivi possono stabilire condizioni e modalità che consentano al lavoratore di richiedere l’eliminazione (o, quanto meno, la modifica) delle clausole elastiche.
Con il dichiarato obiettivo di tutelare la sicurezza esistenziale del lavoratore, viene inoltre confermata la possibilità per il dipendente che si trovi in determinate condizioni di revocare il consenso già prestato all’apposizione nel contratto della clausola elastica. La prima di tali condizioni è riferita a particolari motivi di salute, quali patologie oncologiche o cronico-degenerative, del lavoratore o dei suoi familiari più stretti, cui vanno aggiunte l’assistenza a una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, a un figlio convivente portatore di handicap, nonché la cura di un figlio convivente di età non superiore a tredici anni.
Una seconda condizione rinvia invece all’art. 10 della legge n. 300/1970 (lo statuto dei lavoratori), che disciplina la tutela dei lavoratori studenti, anche universitari.
Innovativa la previsione secondo cui il dipendente può chiedere, per una sola volta, in luogo del congedo parentale (o entro i limiti del congedo ancora spettante) la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, purché con una riduzione d’orario non superiore al 50%.
In questa eventualità, il datore di lavoro è tenuto a dar corso alla trasformazione entro quindici giorni dalla richiesta.


Apprendistato

Apprendistato di 1° livello
Viene costruzione innanzitutto creato un “sistema duale” di integrazione organica tra formazione e lavoro, attraverso cui viene ampliato l’insieme dei titoli di studio conseguibili con l’apprendistato, che ora comprende la qualifica ed il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione superiore (il c.d. Ifts).
Potranno essere attivati percorsi di apprendistato per i giovani che hanno compiuto i 15 anni di età e fino al compimento dei 25, a partire anche dal secondo anno dei percorsi di istruzione tecnica, professionale e liceale per l’acquisizione del diploma di istruzione secondaria superiore e di ulteriori competenze tecnico-professionali rispetto a quelle già previste dai vigenti regolamenti scolastici, utili anche ai fini del conseguimento del certificato di specializzazione tecnica superiore.
Il datore di lavoro è esonerato da ogni obbligo retributivo per le ore di formazione svolte esternamente all’impresa; viene sul punto introdotta la previsione di una retribuzione pari al 10% di quella che sarebbe dovuta al lavoratore per le ore di formazione a carico del datore di lavoro.
Viene infine confermata la possibilità di trasformare questa tipologia di apprendistato in quello professionalizzante, dopo il conseguimento della qualifica o del diploma, purché la somma dei due periodi di apprendistato non superi il termine massimo fissato dagli accordi interconfederali o dai contratti collettivi nazionali.
Parimenti confermata poi la definizione del limite massimo di durata della formazione esterna all’azienda pari al 60% dell’orario ordinamentale dei percorsi di studio.
Viene infine introdotta una disciplina transitoria: rimarrà in vigore la vigente normativa fino a quando non saranno adeguate le discipline regionali ed emanato il decreto interministeriale che dovrà determinare: standard formativi, durata e modalità della formazione a carico del datore di lavoro.
In tema di incentivi all’assunzione viene previsto: a) l’esonero dal contributo pari al 41% del massimale mensile dell’Aspi per le interruzioni dei rapporti di apprendistato diverse dalle dimissioni o dal recesso del lavoratore; b) lo sgravio totale dei contributi a carico del datore di lavoro inclusi il contributo della Naspi; c) la riduzione dal 10 al 5% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali della contribuzione dovuta dai datori di lavoro.

Apprendistato professionalizzante
In deroga al limiti anagrafici, l’apprendistato professionalizzante potrà instaurarsi, oltre che con lavoratori in mobilità, anche con soggetti beneficiari di trattamenti di disoccupazione.
L’ampliamento parrebbe interessare tutte le forme di disoccupazione ad oggi esistenti: Aspi, Naspi, agricola, speciale edile (destinata però a venir meno dal 2017).
La nuova previsione mantiene il regime contributivo previgente per i lavoratori in mobilità; anche in caso di assunzioni di percettori di disoccupazione, infatti, la
contribuzione datoriale rimane quella prevista dalla legge 223/1991 (aliquota pari al 10%).
Nell’ipotesi in cui l’apprendistato sia rivolto a titolari di indennità di mobilità è altresì confermato - in favore del datore di lavoro – il beneficio del 50% della prestazione non fruita dal lavoratore.
Preme comunque rammentare sul punto che queste previsioni contributive cesseranno il 31 dicembre 2016.
Rispetto alla precedente disciplina, le nuove previsioni di legge precisano che la qualificazione professionale è determinata dalle parti contraenti sulla base dei profili o qualificazioni professionali previsti per il settore di riferimento dai sistemi di inquadramento del personale stabiliti dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni dei datori e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Vengono invece meno due previsioni legate all’età: a) la durata e le modalità di erogazione della formazione non possono più essere modulate dalla contrattazione in ragione dell’età dell’apprendista; b) parimenti per l’offerta formativa pubblica disciplinata dalle regioni.
Nessuna novità invece con riguardo alla formazione, per la quale continuerà ad essere il datore di lavoro l’esclusivo responsabile, nell’ambito della disciplina prevista dalla contrattazione collettiva nazionale.
Viene parimenti mantenuta sia la possibilità dell’offerta formativa pubblica, finalizzata all’acquisizione di competenze di base e trasversali che la previsione per cui la Regione comunica ai datori di lavoro, entro 45 giorni dall’instaurazione del rapporto di apprendistato, le modalità di svolgimento dell’offerta formativa pubblica.
Rimane infine immutata l’agevolazione riferita alla possibilità di continuare a versare contributi ridotti per un ulteriore anno in caso di conferma in servizio del lavoratore al termine del periodo formativo, ma non se si tratta di disoccupati e lavoratori in mobilità.

Apprendistato di alta formazione e ricerca
La novità principale è riferita alla nuova strutturazione della tipologia in un sistema duale per l’acquisizione di titoli di studio universitari e dell’alta formazione, compresi i dottorati di ricerca, i diplomi relativi ai percorsi degli istituti tecnici superiori e il praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche.
La tipologia è rivolta ai giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni, in possesso di diploma di istruzione secondaria superiore e di diploma professionale, conseguito anche in apprendistato, integrato da un certificato di istruzione e formazione tecnica superiore o del diploma di maturità professionale (anno integrativo).
Novità è l’esonero del datore di lavoro da ogni obbligo retributivo per le ore di formazione svolte fuori dall’impresa e la previsione di una retribuzione pari al 10% di quella che sarebbe dovuta al lavoratore per le ore di formazione a carico del datore di lavoro.
Viene fissato al 60% dell’orario ordinamentale dei percorsi di istruzione tecnica superiore per la durata della formazione esterna, da svolgersi presso l’istituzione formativa cui è iscritto lo studente il limite orario.
Viene poi chiarita la responsabilità primaria nella redazione del piano formativo individuale che viene affidata all’istituzione formativa, sebbene con il coinvolgimento dell’impresa.
Il datore di lavoro che intenda assumere un apprendista stipuli con l’istituzione alla quale lo studente è iscritto un protocollo, il cui schema dovrà essere adottato con successivo decreto interministeriale e dovrà stabilire anche la durata e le modalità della formazione a carico del datore di lavoro e il numero dei crediti formativi riconoscibili a ciascuno studente per la formazione a carico del datore di lavoro entro il massimo di 60.
Il decreto dovrà definire anche gli standard formativi che rappresentano i livelli essenziali delle prestazioni, da garantire su tutto il territorio nazionale.
Per i soli profili che attengono alla formazione, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano dovranno regolamentare la durata del periodo di apprendistato per attività di ricerca o per percorsi di alta formazione.
In assenza di queste regolamentazioni regionali, l’attivazione dell’apprendistato di alta formazione e di ricerca è demandata ad apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro associazioni con le università, gli istituti tecnici superiori e le altre istituzioni formative o di ricerca. In ogni caso, è prevista la possibilità di attivare contratti di apprendistato con la previgente disciplina finché non sarà emanato il decreto interministeriale che approverà lo schema del protocollo e non saranno adeguate le discipline regionali.
Gli incentivi all’assunzione prevedono: a) l’esonero dal contributo pari al 41% del massimale mensile dell’Aspi per le interruzioni dei rapporti di apprendistato - escluse dimissioni o recesso -; b) lo sgravio totale dei contributi a carico del datore di lavoro (come per l’apprendistato di 1° livello).


Collaborazioni coordinate e continuative e a progetto

La prima, ampiamente annunciata novità è che scompare il lavoro a progetto e rinasce -seppure dentro confini più stretti di quelli preesistenti- la collaborazione coordinata e continuativa.
Dal 25 giugno 2015 vengono infatti abrogate tutte le norme che oggi regolano il lavoro a progetto; rimarranno però in vita, fino alla loro scadenza, i contratti in corso.
Non potranno quindi più essere utilizzati i co.co.pro; verranno però meno anche tutte quelle norme che avevano la finalità di contrastare gli abusi.
Come detto, viene lasciato in vita il contratto di collaborazione coordinata e continuativa per così dire “ordinario”, ossia privo degli obblighi e dei contenuti connessi al lavoro a progetto.
Tale contratto potrà quindi essere stipulato senza la necessità di definire un progetto, libero da qualsiasi vincolo di durata, svincolato dall’obbligo di raggiungimento di un risultato e in mancanza di criteri legali per la determinazione del compenso.
Con il dichiarato fine di perpetrare abusi viene stabilito che, a decorrere dal 1° gennaio 2016, per i rapporti di collaborazione (salvo i casi per i quali la legge prevede delle deroghe) trova applicazione la disciplina del lavoro subordinato, in presenza di alcuni indicatori specifici.
In buona sostanza, viene introdotta una specie di presunzione di subordinazione, che opera quando la prestazione del collaboratore ha carattere esclusivamente personale (resa, cioè, senza un’organizzazione di impresa) e si svolge in maniera continuativa nel tempo.
È però inoltre necessario che le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate dal committente.
Le nuove disposizioni normative non specificano però il concetto di organizzazione della prestazione, ma indicano come forme possibili in cui si manifesta questo elemento la determinazione, a cura del committente, dei tempi e del luogo di lavoro.
L’inesistenza dei requisiti che rendono applicabile la presunzione di subordinazione potrò comunque essere oggetto di certificazione presso una delle sedi a ciò abilitate dalla legge.
Qualora venga rilasciato il provvedimento di certificazione, potranno essere ovviamente rese più difficili eventuali ispezioni amministrative.
Indipendentemente dagli indicatori introdotti, non vengono comunque meno quelli da sempre utilizzati dalla giurisprudenza per sanzionare gli abusi.
Conseguentemente, le collaborazioni coordinate e continuative potranno sempre essere convertite in lavoro subordinato in caso di esercizio da parte del committente di un potere direttivo, organizzativo e disciplinare.
I nuovi indici di subordinazione saranno efficaci dal 1° gennaio 2016.
Alla luce del fatto che il lavoro a progetto viene abrogato a decorrere dal 25 giugno 2015, rimane aperto uno spazio di poco meno di 6 mesi nel corso della quale la collaborazione coordinata e continuativa potrà essere utilizzata con le regole vigenti prima del d.lgs. n. 276/2003.
Gli indicatori di subordinazione che, dal 1° gennaio del 2016, potranno determinare l’applicazione delle regole del lavoro subordinato alle collaborazioni coordinate e continuative, non avranno efficacia rispetto ad alcuni casi espressamente indicati: a) i rapporti di collaborazione rientranti nel campo di applicazione di appositi accordi collettivi stipulati a livello nazionale (questi accordi collettivi, per rendere applicabile l’esenzione, dovranno definire il trattamento economico e normativo da applicare ai collaboratori; dovranno inoltre tenere conto delle particolari esigenze produttive e organizzative del settore in cui si svolge l’attività. Le intese dovranno, quindi, stabilire regole e compensi su misura); b) le collaborazioni aventi ad oggetto l’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione ad appositi albi professionali; c) le collaborazioni di amministratori, sindaci, revisori e figure affini, per le attività rese come membri degli organi di amministrazione e controllo delle società; d) le collaborazioni in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali e agli enti di promozione riconosciuti dal Coni.
Per la pubblica amministrazione, almeno fino completamento della riforma del lavoro pubblico, gli indicatori di subordinazione non troveranno applicazione. Ad ogni buon conto, dal 1° gennaio 2017, ci sarà un divieto di utilizzo delle collaborazioni coordinate e continuative da parte di tutte le pubbliche amministrazioni.
In ragione di tutte le novità introdotte e delle sottese conseguenze, è prevista la per il committente di avvalersi della possibilità di “stabilizzare” i soggetti interessati, utilizzabile però solo dal 1° gennaio 2016.
Da questa data, infatti, i committenti-datori di lavoro, che assumono a tempo indeterminato il collaboratore, potranno fruire dell’estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro.
L’assunzione potrà riguardare sia i soggetti già parti di contratti di collaborazione
coordinata e continuativa, con o senza progetto, sia soggetti titolari di partita Iva.
La sanatoria richiede che il lavoratore interessato sottoscriva, davanti alle apposite commissioni di conciliazione o di certificazione, la rinuncia a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro.
Il datore di lavoro, inoltre, è tenuto a non recedere nei dodici mesi successivi all’assunzione, salvo che per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.
La sanatoria non troverà però applicazione con riguardo agli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali accertati a seguito di accessi ispettivi effettuati in data antecedente alla assunzione.


Associazione in partecipazione

Viene prevista la completa abrogazione dell’associazione in partecipazione con riferimento al solo apporto di lavoro; rimane invece l’associazione in partecipazione fra imprese e solo per apporto di capitale (nuovo art. 2549 c.c.).
I contratti di associazione in partecipazione già in corso di svolgimento, nei quali l’apporto dell’associato consiste anche in una prestazione di lavoro, sono fatti salvi fino alla loro cessazione.


Lavoro accessorio

Viene confermata la generalizzazione del lavoro accessorio e l’elevazione del tetto massimo di utilizzo a 7000 € annui.
Ogni anno (civile – 1° gennaio/31 dicembre-) i prestatori di lavoro che operano con i voucher, non potranno quindi ricevere complessivamente più di 7000 € netti (rivalutabili in base all’indice Istat).
Il singolo committente, qualora sia imprenditore o professionista, non potrà, tuttavia, erogare compensi superiori a 2000 € netti.
A favore dei soggetti in cig e/o dei beneficiari di indennità di disoccupazione, Aspi, Naspi, ed eventuale miniAspi residuale, il limite è elevato a 3000 € netti.
Quest’ultimo compenso è integralmente compatibile e cumulabile con l’indennità
percepita dal singolo lavoratore.
In questa eventualità l’Inps provvederà a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio.
In agricoltura potranno invece ricevere il voucher, occasionalmente e stagionalmente, solo i pensionati e i giovani con meno di 25 anni di età se studenti, nonché tutti coloro che svolgeranno attività a favore di determinati produttori individuati dal Dpr 633/1972.
L’acquisto dei buoni lavoro orari, numerati progressivamente e datati, deve essere eseguito telematicamente, fatta eccezione per i committenti non imprenditori o i professionisti i quali possono reperire i voucher anche presso i rivenditori autorizzati.
Il Ministero del lavoro, con un apposito decreto, fisserà il valore nominale dei buoni (attualmente pari a 10 €.
Per il settore agricolo il valore del buono corrisponde all’importo della retribuzione oraria delle prestazioni di natura subordinata individuata dal contratto collettivo stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
I committenti (imprenditori o professionisti) prima dell’inizio della prestazione accessoria, sono tenuti a dare comunicazione telematica (o tramite mail e/o sms) alla Dtl competente indicando i dati del lavoratore, il luogo della prestazione con riferimento a un arco temporale non superiore ai 30 giorni successivi.
Viene previsto un divieto di ricorso al lavoro accessorio quando la relativa prestazione si colloca nell’esecuzione di appalti di opere o servizi.
Il Ministero del lavoro potrà individuare, con un apposito decreto - da emanarsi entro sei mesi - alcune ipotesi a cui estendere il lavoro remunerabile con i voucher.
L’attuale disciplina dei buoni resta invariata fino al 31 dicembre 2015.


Lavoro intermittente

Rimane immutata la previsione secondo la quale le prestazioni di carattere discontinuo possono essere rese sulla base delle esigenze stabilite dalla contrattazione collettiva nazionale o territoriale, ovvero definite con decreto ministeriale, anche con riferimento alla possibilità di stipulare tale contratto in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.
Quanto ai requisiti soggettivi, il contratto può essere stipulato unicamente con lavoratori di età inferiore ai 24 o superiore ai 55 anni.
In entrambi i casi, considerando un triennio solare, non si possono però superare le 400 giornate di lavoro effettivo per ciascun lavoratore con il medesimo; a tale regola fanno, però, eccezione i settori turismo, pubblici esercizi e spettacolo.
Relativamente all’ipotesi di rifiuto ingiustificato da parte del lavoratore di rispondere alla chiamata del datore, viene confermato che lo stesso può costituire un motivo di licenziamento e comportare la restituzione della quota di indennità di disponibilità relativa al periodo successivo all’ingiustificato rifiuto; non viene però più fatto riferimento anche a un «congruo risarcimento del danno» nella misura fissata dai contratti collettivi o dal contratto di lavoro.
Resta immutato il divieto di utilizzare il lavoro intermittente in tre casi: a) per la sostituzione di lavoratori in sciopero; b) presso unità produttive in cui siano state avviate, nei 6 mesi precedenti, procedure di licenziamento collettivo ovvero sospensioni o riduzioni di orario verso lavoratori con le medesime mansioni; c) in caso di mancata effettuazione della valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro.
Relativamente alla ipotesi sub b), il divieto viene posto in termini tassativi, diversamente mentre la norma previgente faceva salva l’ipotesi di una diversa previsione da parte degli accordi sindacali.
Prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni, il datore è tenuto a comunicarne la durata alla competente direzione territoriale del lavoro attraverso modalità telematiche; a cadenza almeno annuale, il datore è tenuto ad informare le Rsa/Rsu sull’andamento del ricorso al lavoro intermittente.


Conciliazione dei tempi di vita e di lavoro

Divieto di adibire le donne al lavoro
È vietato adibire le donne al lavoro durante i giorni non goduti prima del parto, nel caso in cui il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta: tali giorni si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto, anche qualora il periodo di astensione prima e dopo il parto superi il limite complessivo di cinque mesi.

Rinvio e sospensione
In caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata, la madre ha diritto di chiedere la sospensione del congedo di maternità e di goderne, in tutto o in parte, dalla data di dimissione del bambino. Tale diritto può essere esercitato una sola volta per ogni figlio, previa produzione di attestazione medica che dichiari la compatibilità dello stato di salute della donna con la ripresa dell'attività lavorativa.
Tale disposizione vale anche in caso di adozione e affidamento.

L'indennità di maternità è corrisposta anche in caso di risoluzione del rapporto per:
• colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
• cessazione dell'attività dell'azienda in cui la lavoratrice è impiegata;
• ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o scadenza del termine;
• qualora questi eventi si verifichino durante l’astensione obbligatoria.

Il padre lavoratore ha diritto a fruire del congedo di paternità per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o grave infermità della madre o di abbandono, anche qualora la madre sia lavoratrice autonoma.
Al padre lavoratore autonomo spetta l’indennità di maternità prevista per le lavoratrici autonome, imprenditrici agricole e libere professioniste, per tutta la durata del congedo di maternità, o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte, grave infermità della madre, abbandono o affidamento esclusivo del bambino al padre: per fruirne il padre dovrà inviare apposita istanza all’Inps.
In caso di adozione internazionale, il padre adottivo lavoratore che, per il periodo di permanenza all'estero richiesto per l'incontro con il minore e gli adempimenti relativi alla procedura adottiva, non richieda o richieda solo in parte il congedo di paternità, può fruire di un congedo non retribuito, senza diritto a indennità, anche qualora la madre non sia lavoratrice.
La durata del periodo di permanenza all'estero del lavoratore deve essere certificato dall’ente autorizzato che ha curato la procedura di adozione.
Il tempo massimo di fruizione è innalzato da 8 a 12 anni di vita del bambino.
In caso di mancata regolamentazione, da parte della contrattazione collettiva o aziendale, delle modalità di fruizione del congedo parentale su base oraria, ciascun genitore può scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria.
La fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla metà dell'orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale.
Il periodo entro cui il genitore è tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilità, a preavvisare il datore di lavoro della data di inizio e fine del congedo, passa da 15 a 5 giorni; il termine di preavviso è ridotto a 2 giorni nel caso di fruizione del congedo parentale su base oraria.
Il periodo di congedo parentale parzialmente retribuito al 30%, pari al massimo ai sei mesi, è innalzato dai 3 ai 6 anni di vita del bambino.
Tali disposizioni si applicano anche ai casi di adozione e affidamento.

Prolungamento del congedo
In caso di figlio con handicap grave, entro il compimento dei 12 anni del bambino (non più 8 come previsto dalla previgente normativa), la lavoratrice madre o il lavoratore padre hanno diritto al prolungamento del congedo parentale, in misura continuativa o frazionata, per un periodo massimo non superiore a tre anni.
Viene estesa a uno dei due genitori adottivi o affidatari conviventi la possibilità di non prestare lavoro notturno nei primi 3 anni dall’ingresso del minore in famiglia e, comunque, non oltre i 12 anni del bambino.
Alle lavoratrici e ai lavoratori iscritti alla Gestione Separata e non iscritti ad altre forme obbligatorie, in caso di adozione o affidamento, spetta un’indennità per i 5 mesi successivi all’effettivo ingresso del minore in famiglia.
È stato esteso l’istituto dell'automaticità delle prestazioni, cioè l’erogazione dell’indennità di maternità anche in caso di mancato versamento dei relativi contributi previdenziali, anche ai lavoratori e alle lavoratrici iscritti alla Gestione Separata e non iscritti ad altre forme obbligatorie.
I datori di lavoro privati che facciano ricorso al telelavoro per motivi legati ad esigenze di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro in forza di accordi collettivi, possono escludere i lavoratori ammessi al telelavoro dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l'applicazione di particolari normative e istituti.
Per le lavoratrici dipendenti vittime di violenza di genere e inserite in percorsi di protezione debitamente certificati, è introdotto un congedo per un periodo massimo di tre mesi; per le lavoratrici titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa inserite nei suddetti percorsi il rapporto è sospeso per un periodo massimo di tre mesi.
Le lavoratrici interessate dovranno avvisare datore di lavoro o committente con un preavviso di almeno 7 giorni.
Durante il periodo di congedo, la lavoratrice ha diritto a percepire un'indennità corrispondente all'ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento; il periodo è inoltre coperto da contribuzione figurativa. L'indennità è corrisposta dal datore di lavoro secondo le modalità previste i trattamenti economici di maternità.
Il periodo di congedo è computato ai fini dell'anzianità di servizio, della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto.
Il suddetto congedo può essere usufruito su base oraria o giornaliera nell'arco temporale di tre anni, secondo quanto previsto da successivi accordi collettivi nazionali. In caso di mancata regolamentazione, da parte della contrattazione collettiva, delle modalità di fruizione del congedo, la dipendente può scegliere tra la fruizione giornaliera e oraria. Quest’ultima è consentita in misura pari alla metà dell'orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo.
La lavoratrice dipendente vittima di violenza ha diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale, verticale o orizzontale, ove disponibili; il rapporto di lavoro a tempo parziale dovrà essere nuovamente trasformato, a richiesta della lavoratrice, in rapporto di lavoro a tempo pieno.
Le norme in tema di divieto di adibire le donne al lavoro, di indennità di maternità, di congedo di paternità, di congedo parentale, di lavoratori e lavoratrici iscritti alla Gestione Separata e di congedo per donne vittime di violenza in genere si applicano in via sperimentale per il solo anno 2015, limitatamente alle sole giornate di astensione riconosciute nello stesso anno: l’eventuale estensione agli anni successivi rimane subordinata all’introduzione di norme che forniscano adeguate coperture finanziarie.

Viene infine disposta la completa abrogazione del lavoro ripartito (o job sharing o lavoro in coppia).
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Nella medesima data dell’11 giugno, il Governo ha inoltre approvato, in via preliminare, lo schema di altri 4 decreti legislativi relativi:
1. disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale;
2. riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro;
3. disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive;
4. Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità

Gli schemi di decreto sono stati trasmessi alle competenti commissioni parlamentari per i prescritti pareri.