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27 aprile 2016
Negli ultimi anni ha scoperto il sapore del vino e dell’olio, versione merci da produrre: le Trosce, intese come etichetta, sono affar suo. Ma per Maurizio Nuti di Castelnuovo Berardenga il ‘core business’ è fatto di bottoni, nappe, gomitoli. E soprattutto lo è il banco vendita, che ogni giorno prende e smarrisce forma, come fosse un secondo sole. Nuti è un ambulante, un commerciante su area pubblica certo non di primo pelo: ad ottobre arriverà a quattro decenni di lavoro on the road, ovvero per la strada o in piazza. Dal ’77 è presente al mercato di Siena, ogni mercoledì, con moglie e cognata; nel resto della settimana la sua gamma è offerta in altri dieci posteggi, tra il Senese e l’Aretino. Merito anche di una famiglia che nel frattempo si è allargata, non solo allo stato civile. Dai primi anni Duemila la primogenita ha visto in questa la miglior opzione per valorizzare i propri studi in lingue, e dopo essersi sposata ha coinvolto anche il marito. Così ogni giorno i banchi dei Nuti sono due, in contemporanea, in due località diverse.
Restare a lungo sulla piazza è possibile. Un messaggio anche per i giovani?
“Alla prova dei fatti sì, ma attenzione: il commercio di oggi è molto diverso da quei tempi. Possiamo esser soddisfatti per aver contenuto il calo nel numero di scontrini. Ma il valore medio di ogni vendita è nettamente ridimensionato, da tempo. Le ragioni sono svariate. Su tutte, una qualità media dei mercati che è andato calando: è dipeso dai commercianti e da chi fa le leggi. C’è stata una fase in cui molti hanno approfittato dell’approvvigionamento all’ingrosso di articoli orientali a prezzo irrisorio, rivendendoli con ampio margine. Non si accorgevano però che così facendo squalificavano sempre di più la propria offerta, allontanando la clientela che ha più capacità di spesa. Poi ci ha pensato la liberalizzazione totale: quando io ho cominciato ho sostenuto corsi e esami per rendermi conto di cosa e come venderlo. Oggi chiunque può entrare nel mercato. E il livello medio scade”.
Come si fa fronte a questi fenomeni?
“Il caso nostro fa un po’ storia a parte, perché trattiamo merce abbastanza di nicchia. Abbiamo cercato di insistere su marchi italiani come Cucirini, su Marbet. Senza dimenticarci di stare attenti alle nuove esigenze”
E in merceria oggi come si manifesta l’innovazione?
“Ad esempio con i salda-strappi rapidi, gli orli adesivi, i gancini che allungano i reggiseni: cose che prima non esistevano. Del resto, prima in ogni casa c’era almeno una donna che sapeva cucire. Oggi c’è meno capacità e meno tempo, così si cerca la soluzione rapida. Oppure si va in sartoria, che infatti è un tipo di negozio che ha ripreso vigore”.
In quarant’anni quanto è cambiato il mercato settimanale di Siena?
“Molto, per le ragioni che dicevamo prima. E dal nostro punto di vista è cambiato in valore: lo scontrino medio si è più che dimezzato; già a Rapolano questo calo si è avvertito molto meno. Anche la disposizione dei banchi ora risente del passare del tempo. Secondo me servirebbe un riqualificazione”.
Episodi singolari in carriera?
“Non mi vengono in mente. Con la clientela abbiamo sempre puntato sul profilo basso; ovvero cordialità, servizio, affidabilità. Non abbiamo vip tra i clienti. Semmai figlie che vengono per conto o dopo le madri. E questo ci gratifica”.
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Primo extra domenica 5 maggio. Il primo maggio edizione regolare